giovedì, 28 Marzo, 2024 10:53:31 PM

Giulio De Leo. Compagnia Menhir: “Where”

di Giulia Volturno.

Il teatro ha una natura performativa che si sviluppa attraverso il fare e l’agire sulla scena, è il luogo dove si anima la relazione tra il danzatore e il pubblico, è lo spazio nel quale gli interpreti e il pubblico insieme raggiungono la pienezza delle capacità umane, lì si materializza il desiderio di auto-osservazione e di condivisione. Nella visione d’insieme questo è avvenuto il 14 ottobre, quando si è esibita la Compagnia Menhir con una coreografia dal titolo “Where”, realizzata da Giulio De Leo direttore della compagnia. Tale spettacolo esibito presso il Teatro Kismet OperA, nella città di Bari, fa parte della terza edizione di “ESPLORARE2021”, una rassegna di danza contemporanea promossa dall’Associazione Culturale AltraDanza, curata da Domenico Iannone coreografo della stessa Compagnia, con la direzione organizzativa di Gianni Pantaleo.

Nello stile coreografico di Giulio De Leo si assiste ad una nuova idea di teatro, in particolar modo di fare coreografia o performance, pertanto, si riconosce la danza in un contesto sociale come un’azione e un’esperienza collettiva che si apre a un dibattito sociale. Certamente Where è una performance insolita, come lui stesso afferma, si realizza in una situazione dove il pubblico viene immerso nella condizione meditativa, in una proiezione interiore fino a raggiungere la spiritualità della danza smaterializzata dall’aspetto formale. Quello che si percepisce è una forma rituale e celebrativa della danza, che si pone al di fuori del rapporto tra permanente ed effimero. Ripensando a questa forma di danza espressa come pura essenza interiore, viene in mente il concetto della reviviscenza di Konstantin Sergeevič Stanislavskij, un regista e teorico del teatro.

 

Questo metodo nei primi anni del Novecento veniva pensato dal regista come momento di attivazione della sensibilità scenica interiore, per il quale l’importante non era recitare la parte di qualcun altro, ma portare in scena la propria esperienza. Di conseguenza, l’attore deve trovare in sé stesso le condizioni, le qualità e le caratteristiche che lo possano aiutare ad avvicinarsi al personaggio vivendolo come memoria del corpo. Da questo discorso potrebbe partire l’idea di creazione coreografica di Giulio De Leo in cui ritroviamo di base nel suo lavoro compositivo lo studio del corpo come essenza in movimento che nasce dall’esperienza interiore dell’io e non dalla ricerca del movimento del corpo. Un progetto coreografico profondo che è stato interpretato in maniera impeccabile e con una pregevole padronanza e funzione del corpo, della gestualità interpretativa e del movimento oltre che dello spazio dalle danzatrici: Gabriella Catalano, Claudia Gesmundo, Erika Guastamacchia con l’intervento eccezionale dello stesso coreografo Giulio De Leo. Non diventa facile danzare ed interpretare stando per tutto il tempo di spalle al pubblico e mostrarsi all’ultimo momento. L’uso dello spazio, in questa occasione, come elemento drammaturgico costituisce la vera rivoluzionaria innovazione del progetto creativo di De Leo, che si sviluppa anche attraverso l’originalità dell’oggetto, della luce, del corpo e del suono. Nell’ambito della scrittura scenica e coreografica tutti questi diversi elementi possono muoversi in reciproca autonomia, dal momento che se ne riconosce e valorizza la forza indipendente del significante. La capacità della scrittura del movimento e del gesto creano diversi livelli di significato e senza subordinare la narrazione di un testo pre-scritto, cercano di poter riflettere sul movimento gli stati d’animo.

 

Siamo in un momento storico in cui nasce la consapevolezza, oltre che la pratica, pertanto, la scena può produrre una propria scrittura del corpo, in cui i linguaggi si incontrano dando vita ad una stesura drammaturgica dove gesto, azione e corpo vanno intesi come segni all’interno di una medesima scrittura. L’attenzione per una corretta comprensione dello spettacolo va indirizzata verso la consistenza materiale di quanto accade in scena e quindi si continua ad usare il termine divenire come la nascita di un movimento improvvisato. Lo svolgimento coreografico e l’accostarsi alla dimensione materiale non significa però ipotizzare un allontanamento dalla dimensione coreutica per dar luogo ad un teatro che si risolva nella sola percezione visiva, ad un teatro cioè di immagini senza azione, significa invece ricercare tale azione all’interno del corpo materiale puntando all’evento e alla conformazione psicologica ed espressiva dell’interprete-danzatore. La scrittura testuale e drammaturgica non è un accompagnamento, ma azione essa stessa, si tratta di “raccogliere i cocci della nostra umanità per rimetterli insieme […] e creare pezzi unici” dice Giulio. Si può a questo punto tentare di abbozzare una definizione della coreografia di Giulio, come antropologica, attaccata all’origine del movimento e della terra. Come lui stesso dice: “Stiamo scavando come archeologi nella nostra carne […] per lasciare emergere il nostro subconscio, la nostra creatività e e il nostro stare insieme. Definendo le regole e la linea di demarcazione fra ciò che è dicibile e ciò che non lo è”. 

 

In conclusione si può dire che il problema centrale che riguarda l’entità della scrittura coreografica non consiste tanto nella presenza o meno di un testo e nemmeno nello svilimento della componente costruttiva e preordinata dello spettacolo, ma nel fatto che la drammaturgia, intesa come costruzione dell’azione, passa dall’idea alla scena. Messa in questi termini infatti la questione non riguarda più solo un passaggio di funzione tra danzatore e spettatore, o più in genere di trasposizione da una progettualità letteraria ad una scenica, quanto risulta peculiare il fatto che la produzione di ricerca è sì centrata sulla gestualità e sugli elementi scenici, ma soprattutto sul rapporto tra i danzatori e il pubblico, dando origine ad un rapporto emotivamente interattivo e comunicativo. Tutto nasce al momento sulla scena e lì che si consuma l’azione performativa che diventa la conclusione di un’esperienza, pertanto, si elide la quarta parete per costruire insieme al pubblico una festa, WHERE (Dove) ci si chiede, e il coreografo risponde: “Lo scopriremo insieme”. L’azione compositiva che si compie nella sua reale evoluzione esprime un progetto vissuto che si riflette sull’esperienza stessa, riconoscendosi in un flusso permanente realizzato sul momento in collaborazione emotiva con il pubblico.

Bari, 14 ottobre 2021

Teatro Kismet, Stagione di Danza Esplorare 2021

Compagnia MENHIR di Giulio De Leo

coreografia “WHERE”

progetto di Giulio De Leo

in collaborazione con:

Gabriella Catalano, Claudia Gesmundo, Erika Guastamacchia

incontri nel processo: Vanessa Cokaric, Gabriella Catalano

cura del progetto: Marina Peschetola

processo artistico: Compagnia Menhir Danza

in collaborazione con MAT Laboratorio Urbano/Terlizzi e TEX Teatro dell’ExFadda/S. Vito dei Normanni

https://www.facebook.com/compagniamenhir/

Giulia Volturno.

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