venerdì, 3 Maggio, 2024 1:03:07 AM

Roma – Lasciatelo cantare

E’ facile e banale parlare “dopo” di un artista. Lo facciamo tutti e tutti dimentichiamo “durante” la sua vita, che sarebbe spiacevole commiserarlo ricordando quello che è “stato”.

Ma è lo star system. Noi gente comune, nemmeno ci fermiamo a pensare che, come per tutti, quel “giorno” arriva e arriva silenzioso e inaspettato perché quando “senti” che non sei più quello che eri un tempo, scompari, sparisci, te la defili dignitosamente, discretamente e nella memoria di tutti, sei cancellato.

Fino a quando…

E’ facile e banale celebrarlo. E’ ovvio il parlare bene “dopo”. Ma forse è così la nostra vita. Non ci si riflette nemmeno “durante” il commiato tra corone di fori, occhiali scuri, velette nere, bottoni luttuosi al bavero… No, questo non si usa più.

Ma l’occhiale scuro sì. Dovrebbe nascondere il dolore. Ma forse fa tanto carisma e sintomatico mistero come dice Battiato.

Ha scritto e cantato molto. Si è esibito nel nostro Paese (ometto Patria perché sennò alludo a qualche nostalgico che proprio della Patria ne percepisce il senso solo quando vince la Nazionale), è stato invitato e ospitato in tutto il mondo. Dalle Americhe all’Estremo Oriente.

Testi per suoi colleghi. Mai in competizione. Mai concorrente di altri. Per se stesso brani orecchiabili, facili, per molti: popolari.

Che senso ha il termine popolare? Per i “colti” della musica, popolare è blasfemia artistica. Che presunzione!

Mi chiedo: ma quanti sotto la doccia o mentre lavano piatti, cantano “O mio babbino caro” o “Vissi d’arte”?

Sorrido un po’ pensando all’impiegata che mentre batte numeri sulla tastiera, gorgheggia “Un bel dì vedremo” o il fattorino consegna pacchi fischiettando “Una furtiva lacrima”.

Nel comune vissuto “popolare” le note ci accompagnano leggere. Un ritornello si ripete nelle nostre “banali” azioni, come un’ossessione, magari anche senza ricordare le parole e cantando “Nanananà nanananà”.

Chi se ne importa! Ma canto! Anche senza il DO di petto!

Per carità: non è polemica. Ma a festival, presenze televisive, duetti e serate, i “colti” di Toto Cutugno si “sorrideva” con faciloneria artistica.

Toto Cutugno insieme ad alcuni amici nella villa di Celentano.

Con Memo Dittongo con il pallone sottobraccio

e in basso da sinistra Giacomo Celentano,

Adriano Celentano e Cristiano Minellono

Non che a lui, cantante professionista della musica leggera, come si definisce la musica pop, gli importava grancè: continuò a essere nostalgico, melodico e popolare.

Discusso dai critici. Vinse un unico e solo festival nel 1980. Poi arrancò lì lì ai primi cinque classificati. Troppo popolare. Le case discografiche seguivano l’onda del rock e della disco che con il “suono” dolce che caratterizza la nostra lingua, proprio non c’azzecca (i Måneskin spesso cantano in inglese, lingua dal suono “duro” che da sempre identifica il rock) o anche Ivana Spagna.

La voce roca di Toto Cutugno era rock ma lui cantava melodico e fece bene a “esportarsi” come “prodotto della musica italiana” perché fu un successo mondiale.

Come lui molti suoi colleghi. Qui nel nostro Paese, forse un po’ spocchiosi lo siamo. Esterofili, amanti dello “straniero”, non capiamo niente quando biascichiamo testi dei Beatles o degli U2 e con sufficienza, sorridiamo se la Berti canta con Rovazzi, Fedez e Lauro.

Certo che era un italiano. Che male c’era a doverlo continuamente cantare. Non escludo che tra i lettori ci sia qualcuno di un altro Paese, ma quanti italiani ci sono tra chi sta leggendo?

Che male c’è se mi rilasso a cantare “Finchè la barca va” o “Tanti auguri”?

Scrisse testi per Modugno, Vanoni, Cinquetti e proprio a Celentano propose “L’italiano” che tempo dolo il molleggiato dichiarò “Feci una ca***ata mondiale”.

Umilissimo. Forse troppo. Nello star system è deleterio. Ma che si pretende: a Toto Cutugno importava solo esprimere i suoi sentimenti.

I colleghi lo stimavano. Il “dietro le quinte” è meno velenoso di quanto si sappia. Perché “dietro le quinte” si lavora e insieme si lavora per il pubblico. L’equilibrio degli artisti è il successo della loro professione.

Gli altri?…e chi li ricorda?

Gianni Pantaleo.

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