lunedì, 29 Aprile, 2024 11:55:17 AM

BARI – Serena Pantaleo: “Quel mondo della danza che…”

Introspezione di una danzatrice che si racconta che dopotutto, quel mondo della danza che tutti si aspettano, forse così magico non è.

Un incanto che presto svanisce. Non nello spettatore. Egli esce dal teatro con la visione di un mondo in cui si racconta, si sogna, si immagina. E’ lo spettacolo. E’ la finzione dell’equilibrio dei protagonisti.

Personaggi il cui mestiere è proprio quello di far sognare. Attori, danzatori, cantanti… il cui fine è di trasmettere all’ascoltatore, di comunicare al pubblico, momenti di sicure emozioni.

Spogliatisi degli abiti dell’artista, egli è l’uomo simile, molto simile a quello spettatore che poco prima lo ha visto sul palcoscenico.

A lui, allo spettatore, resta la bellezza del sogno. All’artista…

Una delle interviste più realiste. Serena Pantaleo, talento della danza classica, con la consapevolezza che comunque da un sogno si cade nella realtà, mi parla con una franchezza assoluta, smitizzando quel mondo dell’arte coreutica, non senza la considerazione che un’altra scelta di vita è possibile, senza distruggere un sogno.

Percorso artistico disciplinato. Lo di capisce quando la vediamo in scena. Concentrata. Determinata. Lei è il frutto dello studio. Una scelta essere danzatrice?

No, come tanti ragazzi non avevo ben chiaro cosa volessi fare nella vita. Sono stata sempre parecchio indecisa. La danza però non la considero una scelta. La paragono al primo amore: la stessa travolgente passione e necessità di vivere il più possibile qualcosa. Non l’ho scelta, direi che è stato il contrario. È stato tutto molto naturale. Era il mio corpo che rispondeva a ciò che la danza mi dava e mi portava. 

La strada della professionista è tormentata. Lei e tantissimi colleghi, nonostante le difficoltà, danza. Ancora convinta della scelta?

Oggi, provando anche altri percorsi, sono convinta che la danza possa far parte della tua vita in tante altre maniere, non solo professionalmente parlando.

Quando sei un ballerino adolescente spesso ti insegnano a rigare dritto, soffrire, arrivare ad autolesionarti mentalmente e fisicamente. Ti saboti e saboti chi ti è vicino. Perché L’unica cosa che conta è arrivare prima di tutti.

“Frammenti di un discorso amoroso” (2017) coreografie di Domenico Iannone

Sei talmente concentrato che nulla più attira la tua attenzione. Ma questa non è la danza. La danza è, per me, un modo per elevare ed aggiungere qualcosa in più alla tua persona. Il poter tirar fuori ciò che hai dentro perché non avresti altre maniere o semplicemente poterti staccare dal mondo terreno e crearti il tuo spazio felice e rilassato.

Questo è quello che conta davvero, non essere un professionista o un amatoriale. Ed è per questo che sono convinta che la danza debba far parte della mia vita , che sia carriera o alla fine solo hobby.

Sa cosa ci convince quando la vediamo danzare? Che i suoi intenti erano comunque quelli di essere una ballerina. Sarò polemico: ma cominciare gli studi con basi classiche, sono le chiavi per tutte le altre tecniche. E’ così?

Si. Per quanto riguarda me, la danza classica mi ha dato la base per tutto. Fondamentale però è non praticare solo quella disciplina. L’insieme di tutti gli stili conosciuti e anche, se si ha tempo, di altri tipi di arti e sport, ti permette di essere davvero un professionista completo ed originale . Rimpiango infatti di non aver avuto il tempo di ampliare i miei orizzonti. I ballerini che smettono di ballare hanno un danno psicologico. Non sanno più chi sono e sono persi. Hanno difficoltà a reinventarsi. 

E l’interpretazione? L’interpretazione ce l’hai dentro, altrimenti balli e basta…

L’interpretazione penso sia la cosa più difficile. C’ è chi ha facilità nel tirar fuori ciò che sente e vuol far sentire. Io ad esempio ho dovuto lavorarci tanto. Avevo paura ed ancora oggi, ho il timore di tirar fuori cosa ho dentro e mostrarlo agli altri. Non è vero che si danza solo per comunicare. Io volevo solo parlare a me stessa. Ballavo principalmente per sfogarmi o mettermi nei panni di un’altra persona che mi sarebbe piaciuto essere, esattamente come gli attori. Ho tirato fuori discorsi con i movimenti quando ho avuto qualcosa da dire al mondo. 

“Frammenti di un discorso amoroso” (2017) coreografie di Domenico Iannone

Teatro San Carlo, Teatro alla Scala, non è solo passione per la danza. Il bisogno di perfezionarsi confermava la volontà di una futura carriera. Segue il Centro Formazione Aida Milano. Deduco, quindi, che la strada cominciava a essere ben percorsa. Ha avuto dubbi sul suo futuro di danzatrice?

Si, li ho sempre avuti. Non mi hanno sostenuto in famiglia, amici e qualche ex fidanzato. A tutti piace un futuro con basi economiche ed agiate. Lo garantirei anche io ai miei figli. Inoltre questa professione ti porta a combattere demoni come lo stereotipo della magrezza o della perfezione, gli amici che fanno il tuo stesso lavoro non sono davvero tuoi amici perché c’è una grande competizione. La società non considera questo tipo di professione un lavoro e fa di tutto per farti sentire sola. Si pensa solo a quanto si possa essere carine, leggiadre ed eleganti. Ma non è così.

Ha un background notevole. Borse di studio, audizioni, partecipazioni e corsi che migliorano le sue già alte qualità tecniche. Che ricordo ha della sua prima “uscita” in palcoscenico? Studiare, è ok, ma la sua “prima volta”?

Ricordo ancora il mio vestito e parte della coreografia. Compreso il brano. Penso mi sia rimasto tanto impresso perché mi sono sentita per la prima volta nel posto giusto. La tanto amata “casa” che tutti cerchiamo costantemente fino alla fine dei nostri giorni. Mi sono sentita brava e bella. Esattamente quello che ai bambini piace sentire. In più avevo regalato, senza troppi sforzi, emozioni positive alla gente. E questo fa parte del mio carattere. 

Poi seguono Cannes, Berlino, mi scusi, ma dal suo inizio di studi, nel 2006, dopo otto anni, lei frequenta i corsi a Londra all’English National Ballet ed era il 2014! Otto anni e con una formazione così, significava che lei nasceva talento. Chi è stato il o la, suo mentore?

Nella vita di un ballerino passano tanti docenti. I maestri (quelli che chiami così per varie ragioni e insegnamenti di vita), sono stati sicuramente Sabrina Speranza e Domenico Iannone. Duri e allo stesso tempo persone dolci. Potrei considerarli sicuramente dei genitori alternativi, hanno visto più lacrime e sorrisi loro che i miei veri famigliari. 

“Frammenti di un discorso amoroso” (2017) coreografie di Domenico Iannone

La sua presenza alle audizioni le hanno permesso anche di lavorare? Mi scuso per la domanda, ma vorremmo potere comprendere quanto sia difficile avere una scrittura nel mondo della danza.

No. Non ho avuto la possibilità di fare tante audizioni quante ne avrei potute fare. Per continuare questa carriera hai bisogno di soldi. Devi pagare per raggiungere luoghi ed accedere anche ad audizioni. Per poterti allenare al meglio e avere più possibilità degli altri. Chi continua oggi, infatti, è sostenuto economicamente principalmente dai famigliari. Altri, ma davvero pochi, lavorano come maestri o altre professioni e con quel poco si pagano le lezioni, i viaggi, l’affitto, il fisioterapista e spesso lo psicologo. No, lavorare non è facile. Per lavorare devo pagare il doppio di quello che offrono. I conti non tornano.

Quindi le aspettative non sempre compensano la dedizione allo studio della danza. E’ questa una ragione per disilludere le nuove generazioni incantati dal mondo dello spettacolo?

Le nuove generazioni sono già disilluse. Inutile raccontare la fiaba del “se ci credi puoi”. No! Se sei furbo, intelligente, determinato, fortunato in molti casi e soprattutto bravo… allora puoi.

Ovviamente ripeto, le strade della vita sono tante e non dobbiamo pensare che esista solo il ballerino che balla sul palcoscenico.

Puoi fare così tanto per te stesso e questa vita. Non esiste un’unica strada che ti renda felice. Purtroppo capirlo è difficile. Io per prima sto cercando la mia. 

L’ho vista danzare e interpretare. L’ho ammirata in compagnie di danza e da solista. Ritorno alla prima domanda: concentrata, determinata, disciplinata…e mi permetta, a volte con un’ombra malinconica sul viso, spesso riflessiva ma mai algida. Erano sensazioni che percepivo per l’incertezza della carriera? L’arte, mi perdoni…non paga.

Si, sono una persona molto malinconica. Riprendendo la prima risposta, la danza per me è un primo amore. Non si scorda mai e lasciarla andare mi ha sempre fatto male.

L’ho lasciata molte volte perché ero sfiduciata. Spesso ho ballato qualcosa che non mi piaceva e che non mi faceva esprimere al meglio.

C’è stato un momento in cui avevo voglia di gridare chi ero, cosa sapessi fare, cosa avrei potuto essere, quanto amore e passione avevo da dare. Ma nella vita poche persone hanno la possibilità di farlo esattamente come vogliono.

Le rimetto il sorriso sul viso: il o la sua prima maestra. Il o la sua prima coreografa. A chi è grata per essere quella che è?

Sono grata a me stessa per essere chi sono oggi. Ho lavorato tanto per capire che non potevo distruggermi per non aver raggiunto i miei obbiettivi iniziali.

L’ho capito precisamente quando ho lasciato danza anni fa e l’ho ripresa in questo periodo. Sono grata alle poche vere persone che mi sono state vicine quando ho avuto un lungo periodo di depressione, cercando di aprirmi gli occhi alla vita.

Ci sono state anche tante persone deluse dalle mie scelte e tante persone che avevano voglia di dire solo “poteva fare di più, peccato… non ci ha creduto.” E tante altre frasi che solo chi non sa cosa mi è accaduto nella testa e nella mia vita privata può far uscire. 

Ultima domanda. Una considerazione molto personale: lei è colta. Lo affermo a ragione. Ho intervistato danzatori e coreografi importanti. Ho conosciuto e conosco danzatori e coreografi noti. In alcuni, molti, si percepisce un’aridità culturale profonda. Non mi fraintenda: non la boriosa, spocchiosa cultura della ipocrita classe intellettuale, ma manca una preparazione umanistica che possa permettere di fare arte, di danzarla, di cantarla, di interpretarla, insomma: il palcoscenico. Un privilegio ricevuto da chi?

Grazie mille per il complimento. È davvero importante questo pensiero che ha di me. La cultura emotiva nella società di oggi è molto sottovalutata.

Vanno tutti al museo o guardano film solo per vanto o mostrarsi. Io ho sempre avuto fame di arte ed emozioni.

“Sogno di una notte di mezza estate” (2018) coreografie di Domenico Iannone

Mi è sempre piaciuto esplorarmi e ragionare sulle mille interpretazioni che un’artista di qualsiasi disciplina volesse regalarmi. Penso che il senso della vita sia tutto li. Nell’arte. Nei pianti, nei sorrisi, nei dubbi che ti possono regalare.

Le persone che non fanno parte di questo mondo lo sperimentano con la musica o quando sono ubriachi e si divertono a farsi domande esistenziali sulla vita.

Domande che già ti pone uno spettacolo artistico a teatro da sobrio o un buon libro. È il motivo per cui ho voluto provare la vita dell’artista. 

L’arte non porta soldi, ma i soldi non fanno parte di questo mondo astratto di emozioni e sentimenti. Il denaro ce lo impone la società per mangiare e pagarsi l’affitto. Fosse per gli artisti, si vivrebbe di cibo, vino e racconti. 

Ha un suo personalissimo romanticismo. Bohémien contemporanea. Schietta, forse anche professionista severa, senza illusioni, nè false realtà. “…era il mio corpo che rispondeva a ciò che la danza mi dava e mi portava”. Nessuno le inculca il sogno, non si identifica nei miti. E’ come banalmente diremmo: si è trovata a fare la ballerina. Se il corpo “rispondeva” era perchè nasceva ballerina.

Questo non le impedisce di sognare. Ma lo sceglie lei.

Gianni Pantaleo.

Ph. Emilio Badolati e Gennaro Guida.

 

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