sabato, 23 Novembre, 2024 1:13:19 PM

Bari – Serena Rainò – La disciplina di un benessere interiore

Ha una maturità che sorprende per la sua giovane età. Ed è una considerazione piacevole perchè non te l’aspetti. Resta un fatto: è colta. Una sensibilità artistica ereditata ma poi approfondita con il lavoro: su se stessa e con gli altri.

Serena Rainò si presenta con una purezza interiore empatica. Parlandoci, ne sono coinvolto. Deduco che ha ragione quando, nel corso dell’intervista, si definisce continuamente allieva, indice questo, che anche nel ruolo di insegnante, lei impara.

Modestia? Umiltà? No, rispetto per gli altri e lo dimostra seguendo l’intervista che gentilmente mi ha concesso.

Serena Rainò

Nasce danzatrice, quindi. Figlia d’arte non è da poco, direi un destino. Inevitabile citare il maestro Alfredo Rainò e non solo per la sua professione di danzatore, ma soprattutto come mèntore della danza. Dimentichi per un attimo che è suo padre: gli è grata?

Sì, assolutamente. Gli sono grata in ogni modo possibile. E’ stato un maestro completo come se ne trovano pochi adesso, perché lui non ha mai trascurato la cultura del teatro.

Non si è limitato a insegnarmi la tecnica, mi ha insegnato la teatralità, con un accento continuo sull’importanza dell’espressività e soprattutto sulla conoscenza della storia del teatro.

Fin da quando ero piccola, ricordo, mi portava con sé quando era invitato a tenere conferenze sulla Storia della Danza e lui cominciava il racconto partendo dalla nascita del gesto, mettendosi quasi in competizione con la Bibbia, che dice che in principio c’era il Verbo.

Lui afferma, invece, che in principio c’era il Gesto e da lì ha sempre amato tutta la storia dell’evoluzione del gesto e la sua codificazione che ci ha portato a questo grande universo che è il mondo della danza e poi del teatro.

Quindi, sì, gli sono grata perché mi ha insegnato che dietro ogni gesto, dietro ogni storia, dietro ogni balletto, c’è un valore artistico inestimabile.

Alla sua notevole carriera di danzatrice, lei non lascia gli studi: è Laureata in Scienze Psicologiche dell’intervento clinico e si qualifica in Biodanza. La danza è comunque la sua disciplina madre. Lei è giovanissima, ho la sensazione che sia una mission di ben solida maturità professionale. Una dote che riconosce?

Innanzitutto, grazie. Penso che sia un po’ parte della mia personalità questa ricerca continua della profondità.

Vedo la danza unita all’amore per la psicologia perché è un modo come un altro per sondare tutto quello che è un ventaglio di emozioni che una persona può sentire, sperimentare, può vivere.

La danza, per me, è allo stesso tempo comunicazione e cura. Quindi associare la danza alla terapia è stato un percorso conseguenziale del mio modo di pensare.

Perciò, quando ho incontrato discipline come la Biodanza, sono stata subito affascinata e ho cercato anche attraverso un mio percorso particolare e personale, di associare sempre la danza ad una forma di benessere mentale.

Sono sicura che sia legato alla mia personalità e alla mia propensione per ciò che è profondo, nascosto e che ha bisogno di essere espresso in qualche modo. 

Ha danzato molto e in contesti accademici importanti. Ma c’è di più: i suoi maestri: oltre al suo papà, Ingrid Ebert, Ramona de Saa, Diego Dolcini, Loreta Alexandrescu… Una formazione classica di rilievo. Mi viene da dire che lei non ha ballato solo con il corpo ma lo ha poi evoluto legandolo al pensiero, altrimenti non avrebbe intrapreso quella laurea. Una ragione per dedicare i suoi studi ai futuri danzatori?

Anche qui si tratta di vocazione. L’insegnamento è una vocazione e io per prima mi sento ancora molto allieva. E’ uno stato che mi dà gioia.

Non c’è niente che mi rende più felice di cominciare un nuovo percorso di studi, scoprire qualcosa di novo e probabilmente questo sentirmi sempre allieva, che mi spinge all’insegnamento.

Mi identifico sempre con l’allievo, ho sempre qualcosa da imparare da lui e probabilmente è proprio questa la ragione del perchè la formazione mi piace così tanto.

Loreta Alexandrescu

Mi guardo e mi vedo nei loro occhi, sperando possano percepire la stessa felicità che provo io quando imparo qualcosa di nuovo e soprattutto quando trovo di fronte a me, un maestro generoso.

Ci tengo, in questo caso, a citare una delle mie insegnanti al Teatro alla Scala: Loreta Alexandrescu, che purtroppo non c’è più e che diceva sempre: la migliore qualità di un’insegnante, è la generosità.

Ritorno allora a considerare la sua carriera una mission: è lodevole. Sempre alludendo alla sua giovane età: lei pare lontana dal dilagante esibizionismo mediatico. Questa la considerazione che faccio. Lei è figlia dei social: non la incanta il continuo essere dovunque e dappertutto con la fotocamera puntata sempre su se stessa? Mi permetto: ha doti che le permetterebbero di essere una cover mediatica.

Questa è una domanda bellissima, delicata e allo stesso tempo pericolosa, perché in realtà rischio di dire qualcosa che offenda qualcun altro e non vorrei.

Credo che anche in questo caso, sia una questione di personalità. Io sono un po’ timida e non mi mostro del tutto.

Pima di tutto perché non mi rappresenterebbe perché sono molto complessa e penso che mostrarmi anche sui social in maniera troppo esplicita, non renderebbe nemmeno giustizia alla mia stratificazione, alla mia personalità complessa.

Perciò un po’ la mia timidezza, un po’ questa complessità che ho dentro, non voglio che si riduca ad una immagine semplice.

Quindi, probabilmente, il fatto di non scoprirmi tanto come fanno molte colleghe, non è una questione legata alla moralità o a qualche forma di bigottismo, ma semplicemente credo che gli altri percepirebbero un’immagine così semplice, così povera, forse, che non mi rappresenterebbe abbastanza.

Danzatrice, insegnante. Studio e disciplina. Con se stessa…è severa?

Tantissimo. Tantissimo e questo è un altro tasto dolente. Prima di mettermi in gioco, soprattutto sui social, c’è voluto tantissimo tempo, proprio perché io non mi sono mai sentita all’altezza, non mi sono mai sentita abbastanza.

Il mondo della danza è incredibilmente competitivo e non c’è bisogno che lo dica io. Anche quello della formazione, lo è e tra noi insegnanti di danza c’è sempre un po’ di critica, di giudizio e io ho fatto un’immensa fatica ad aprirmi da questo punto di vista.

E’ stata una necessità quella di mettermi in gioco. Dopo la pandemia dovevo in qualche modo avere un lavoro, lanciare attività nuove e non era facile con le scuole chiuse.

Quindi è stata una necessità quella di attivarmi con la didattica on line e come le dicevo prima, sono molto timida e severa con me stessa. Però sono contenta, perché è stata una forma di terapia anche questa.

…e con i suoi followers?

Mai abbastanza. Sono una maestra molto dolce, ma mi rendo conto che dovrei spingere un po’ di più. Ad esempio, tendo a scoraggiare sempre la competizione, soprattutto nella mia scuola, anche se ammetto che una sana competizione, aiuta a migliorare la tecnica e quindi se stessi.

Per forma mentis, prediligo un ambiente sereno. Credo di essere davvero poco severa. Di sicuro le correzioni da fare, le faccio e sono molto attenta. Per cui le mie allieve che sono tutte abbastanza sensibili, restano con me davvero per tanti anni.

Raccontare il palcoscenico: un’attenta osservatrice è stata una protagonista. Sono nata respirando l’aria del palcoscenico e tornare a teatro per me è sempre emozionante! Ha un sapore nostalgico questa sua affermazione. Lei il palcoscenico l’ha vissuto. Saltiamo un po’ indietro nel tempo. Una sensibilità come la sua avrà memoria dell’emozione provata…quando? La condivide con i nostri lettori?

I primi ricordi risalgono a quando ero davvero molto piccola. Mi trovavo spesso in tournèe con mio padre o ero con mia madre ad ascoltarla suonare in teatro, lei è violinista.

Perciò i miei primi ricordi risalgono a quell’odore di legno e di tendaggi, di polvere che c’è soltanto in teatro. Sono odori scolpiti nella mia memoria e che hanno attraversato tutta la mia crescita.

Sono gli odori più antichi ma anche più famigliari. Non so come spiegare: è come la coperta di Linus, è qualcosa che hai respirato da piccola e ti resta dentro provocando emozioni fortissime, di orgoglio per i genitori, di scoperte, di cose nuove.

Probabilmente l’odore del teatro è l’odore che preferisco di più al mondo. I miei primi spettacoli…penso che non ci sia niente di più emozionante. Sono ricordi ed emozioni e anche, direi, ad una fede.

Estetica e salute: lei è maestra della totalità di un corpo legato alla sua anima. C’è un che di fede buddhista in questa analisi. Nel disagio imperante del nostro vissuto quotidiano, quale è la forma di coraggio perché non si debba dimenticare che anima e corpo sono un’unicum spirituale?

Questa è una domanda bellissima ed è vero: a volte si tratta proprio di coraggio. La salute mentale e fisica, è inscindibile.

Al giorno d’oggi, la cultura è accessibile a tutti. È assurdo che le due cose siano divise. Si incoraggia ad avere un corpo atletico e bellissimo e nello stesso tempo non si incoraggia una mente forte e ordinata.

Per questo potrei dire che la danza, lo sport e le tante discipline artistiche aiutano, però niente può sostituire una buona seduta di terapia.

Si tratta di igiene, igiene mentale. Lei ha detto bene: a volte serve avere coraggio, perché mentre è facile riconoscere un corpo fuori forma, è molto più difficile riconoscere che la nostra mente o il nostro cuore, hanno bisogno di un allenamento diverso.

Ne parlo spesso nei miei canali e spero di suscitare sempre più interesse al tema, perché una cosa non può sopravvivere senza l’altra. 

Serena Rainò…domani. Ha un desiderio da realizzare al quale potremmo assistere?

I miei desideri cambiano sempre. Una volta ad una stessa domanda, risposi che sono un po’ come le formichine, perché ho paura di sognare in grande.

Quindi, generalmente, vado per gradi. Sogno un piccolo sogno, poi lo realizzo e poi passo al sogno successivo.

I grandi sogni mi spaventano. Sogno un po’ per volta e pian piano arrivo dove avevo lanciato il sassolino e guardandomi indietro, mi pare di vedere che quei sogni che sembravano insormontabili, invece si sono realizzati.  

Lontana dalla comodità di essere considerata figlia d’arte, Serena Rainò si libera da questa convenzione e percorre la sua strada con la consapevolezza che non basta avere respirato, appena nata, l’aria del palcoscenico ed esplora, coraggiosa, le altre vie della comunicabilità mediatica oltre l’aspetto fisico, insegnandoci che al di sopra di tutto, c’è quella nobiltà d’animo, mistica visione di una vitalità interiore.    

Gianni Pantaleo.

La foto di copertina è di Clarissa Lapolla.

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